Il caso dell’ecoturismo in Tailandia

con Nessun commento

Parlando di ecoturismo, come già scritto nell’articolo dedicato, non si può purtrppo non parlare anche delle finte campagne ecoturistiche lanciate solo ed esclusivamente per ragioni economiche e non per la preservazione ambientale e culturale. Un caso emblematico (purtroppo non l’unico) è quello della Tailandia. Il fatto è tratto da un articolo nel Bangkok Post del 1997.

Immaginiamo una barca riconducibile ad un’impresa turistica che si è autoproclamata “ecoturistica” che si dirige verso una barriera corallina incontaminata nel Mar delle Andamane.
Una volta arrivata a destinazione cala l’ancora in mare aperto distruggendo istantaneamente una miriade di madrepore e, con esse, l’habitat di molti animali marini.
Questo è un estremo riassunto di ciò che in Thailandia è stato pubblicizzato come ecoturismo.

In Tailandia il turismo di massa è stato davvero un grosso problema, nonostante si sia cercato di combatterlo per la preservazione dell’ambiente, la stessa TAT (Tourist Authority of Tahiland) presentò a suo tempo il concetto di ecoturismo che però è molto diverso dal concetto che hanno di questa parola i tour operators.
Spesso vengono pubblicizzate escursioni subacquee, spedizioni avventurose, trekking nelle giungle, viaggi avventurosi e a “contatto con la natura” che non hanno nulla a che fare con l’ecoturismo che invece dovrebbe proteggere l’ambiente, non distruggerlo.
Il vicegovernatore della TAT, in quel periodo intervistato, disse che ci si trovava in un periodo di transizione e che uno dei principali fattori del fallimento dell’ecoturismo era la mancanza di partecipazione delle comunità locali a causa della loro scarsa capacità manageriale e del debole potere contrattuale nei confronti dell’industria turistica.
Continuò dicendo anche che la popoloazione locale era priva di informazioni, di esperienza e di denaro per poter gestire l’industria turistica nelle loro aree aggiungendo che il governo doveva intervenire fornendo assistenza e consigli esperti per le operazioni ecoturistiche della comunità. Drammatica anche la testimonianza di Meeya Hawa, abitante del luogo e attivista della conservazione, che si legge in quest’articolo:
Qualunque sia il nome che gli date, turismo di massa oppure ecoturismo, non fà differenza per noi abitanti dei villaggi locali, poichè noi non ne traiamo alcun beneficio. Alcuni di noi possono essere assunti come lavoratori a buon mercato in località turistiche o in ristoranti, ma niente di più…Quando i turisti arrivano, rimangono nei loro confortevoli alberghi o resort e ignorano le nostre piccole capanne. Vanno nelle isole con la barca dei loro alberghi e mangiano nel loro ristorante gettando la spazzatura nel mare che noi abbiamo preservato con il nostro duro lavoro.

Egli poi ha sottolineato come solo un parte minima dei turisti soggiorna nelle case degli abitanti o mangiano il cibo indigeno che essi cucinano. Ciò che Meeya ha messo in evidenza è la necessità di un turismo condotto e gestito dalla comunità per la comunità. Ma ci sono anche buoni esempi, come Kiriwong, una comunità ai piedi del monte Khao Luang nel Nakhon Si Thammarat, che ha sviluppato un ecoturismo basato proprio sulla comunità costituendo il Kiriwong Ecotourism Club allo scopo di creare delle regolamentazioni in ambito turistico per evitare il degrado ambientale. Il segretario del club, Nipat Boonpet, sempre in quest’articolo del Bangok Post, ha dichiarato che la comunità Kiriwong ha limitato il numero degli escursionisti a 30 al mese, pagando 3000 Baht per una escursione completa.Tutti i profitti ritornano ai fondi assistenziali della comunità (benchè in Tailandia le aree rurali siano prive di sistema previdenziale, Kiriwong ha una lunga storia di fondi assistenziali comunitari e di gruppi impegnati di villaggio). Inoltre vi è una frase interessante:
Manteniamo piccola la nostra industria turistica poichè vogliamo evitare gli errori commessi dalle altre località turistiche… I turisti pensano ai costi soltanto in termini di quanto pagano per il vitto, il viaggio e l’alloggio. Per essi la natura è gratuita. Ma non lo è…

Tutto questo per arrivare ad una riflessione importante:Finchè non c’è una reale preservazione ambientale e culturale, finchè non vengono realmente messi in atto i principi di responabilità e sostenibilità e non c’è una totale consapevolezza del turismo, la parola ecoturismo avrà ben poco valore nell’atto pratico, se non quella di catturare turisti e quindi accumulare richezza (ma solo per alcuni) a discapito degli ecosistemi.

Condividi questo post con:
  • Facebook
  • Twitter
  • Wikio IT
  • LinkedIn
  • del.icio.us
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Google Buzz
  • Technorati
  • email
  • Add to favorites

Lascia una risposta